Racconto “Di passato e presente”

Nota

Di passato e presente

Cari lettori, sono felice ed emozionatissima di condividere con voi il racconto “Di passato e presente”, prima storia realizzata per la rubrica #narratoridistorie, organizzata dalla super Christine Carter sul gruppo Facebook Ritrovo scrittori anonimi e (s)bloccati. Per tenere allenata la nostra fantasia e le nostri doti da scrittrici in erba, Christine ha deciso di sfidarci in questo 2021 a un gioco dell’oca del tutto particolare, in cui a ogni casella corrisponde una storia da scrivere, con tanto di bonus o imprevisto! Non potevo non aderire e lanciarmi in quest’avventura.

Al primo lancio del dado mi è capitata una casella – lo ammetto – fortunata: sono finita nella numero 4, “Fiestaaaa si balla!”. La mia consegna? Scrivere una storia che coinvolgesse “Una grande festa dove si incontra persino chi non si vede da tanto tempo”, includendo inoltre il colore Indaco e la caratteristica Eleganza. Il bonus che mi è stato affidato è invece il 25, “Mazzo di rose”. Spero possa piacervi la storia – lunghetta, vi avviso! – che ho scritto. Buona lettura, e vi aspetto nei commenti per tutti i pareri del caso 🙂

Racconto “Di passato e presente”

Quando scende le scale, avvolta nel suo abito lungo color indaco tempestato di piccoli, luccicanti strass, è così bella che anche il cielo, rispetto a lei, sembra meno brillante del solito. La guardo a bocca aperta, incapace di proferire parola.
«È così male?» chiede, aggiustandosi le spalline e stirando frettolosamente con la mano le pieghe della gonna.
«È… sei perfetta, Ire» deglutisco. «Sei davvero perfetta.»
«Non è vero ma grazie!» arrossisce, afferrando la mano che le ho teso per scendere gli ultimi gradini senza inciampare nello strascico del vestito.

Quando il suo sguardo incontra il mio, l’elettricità taglia l’aria. Le stringo più forte la mano e la poso sulla mia spalla sinistra, avvicinandola a me.
«Mi concedi questo ballo?» chiedo, stupidamente. La voce trema un po’ dall’emozione, ma l’aspetto regale di Ire fa un effetto strano al cuore, che accelera il battito fino a quasi scoppiare. Se non è amore, non so cos’è.
«Ma non c’è la musica…» sussurra, abbassando lo sguardo.

È imbarazzata come l’ho vista poche altre volte, quasi come si sentisse sotto esame. Mi fa un’enorme tenerezza, un sentimento che mi avvolge l’intero corpo, dalla bocca dello stomaco alla punta delle dita. Le scosto una ciocca di capelli dal volto, alzandole il mento fino a che i suoi occhi ritornano a specchiarsi nei miei. «E da quando a noi due serve la musica per danzare?» dico, strappandole un sorriso.

Stretti l’uno nell’altra iniziamo a volteggiare in salotto, tra il divano e la piccola credenza, sommersa dei miei libri e delle sue piante grasse. L’iniziale imbarazzo lascia man mano il posto alla sensazione di sentirsi al posto giusto nel mondo. Non mi era mai successo prima.
Delicata come una carezza, Ire posa la testa sul mio petto, mentre in silenzio continuiamo a volteggiare tra le nostre quattro mura, pareti che da poche settimane a questa parte abbiamo imparato insieme a chiamare “casa”.

«Posso confessarti una cosa?» mi chiede, senza fermare la danza.
«Tutto quello che vuoi!» rispondo, stringendola un po’ di più.
Sospira. «Sono terrorizzata all’idea di questa serata» confessa.
«E perché mai? Diremo addio a questo anno infernale, berremo champagne di ottima qualità, e poi ci sarò io al tuo fianco: non devi temere niente, davvero!» ammicco, ma le sue iridi sono avvolte da una nuova ombra, che prima non avevo notato, e che ne oscura le sfumature dorate.

«Perché questo è il tuo mondo, Ale. Io… io mi sento un pesce fuor d’acqua, qui, tra questo lusso appariscente e queste persone tutte così istruite e altolocate. Ho paura di dare una brutta impressione, di farti sfigurare, più di ogni altra cosa.» Le sue parole si susseguono in tutta fretta, i nostri passi si arrestano sul pavimento.
Le prendo dolcemente il volto tra le mani. «Ire, con te vicino non sfigurerò mai; al massimo posso suscitare grande invidia, ma sfigurare? Con la ragazza più bella di Roma al mio fianco? Mai.»

Un vivace rossore le avvolge nuovamente le guance. «Se ne sei sicuro…»
«Al cento per cento. Parola di lupetto!» affermo, mimando il famoso saluto scout.
Ire ride, e in quella risata c’è tutto ciò che amo di lei. «Allora possiamo andare, si è fatto tardino…»
Guardo l’orologio sulla parete di fronte a noi. Sono le sette passate.
«Hai ragione, effettivamente è ora…Mia signora, se volete concedermi l’onore!» le dico afferrando il cappotto dall’appendiabiti e reggendolo per aiutarla ad indossarlo.
«Sei proprio uno scemo!» esclama, alzando gli occhi al cielo. Sulle sue labbra si stampa un sorriso, e dentro al mio cuore la felicità.

Arriviamo all’Hotel che sono ormai le otto e mezza: appena in tempo per l’inizio della serata. Di fronte alla hall, una folla ordinata di auto riempie ogni centimetro di strada. Uomini in smoking e donne in abito da sera scendono chiacchierando dalle loro eleganti berline, avvolti in sfavillanti cappotti. Il loro allegro vociare avvolge il quartiere.
Non mi serve guardare Ire per sapere che è tesa come una corda di violino. Il suo respiro, man mano che ci avviciniamo alla fila, si fa più affannoso, smorzato solo dagli interminabili secondi in cui lo trattiene cercando di ritrovare una calma che le sfugge. Quando mi volto in sua direzione, ha lo sguardo fisso sulle persone che si avviano verso l’ingresso in piccoli gruppi, le mani giunte in grembo, le nocche pallidissime dalla stretta con cui cerca di tenere a freno l’ansia.

«Ire…» cerco di distrarla. «Andrà tutto bene!»
Annuisce, gli occhi ancorati ai volti degli altri. «Okay…» mormora, senza voltarsi. Le stringo forte la mano. «Okay.»

Quando il facchino si avvicina al finestrino della nostra auto, Ire per poco non urla. «Tutto okay, eh?» ridacchio, beccandomi una meritata gomitata alle costole.
«Ben arrivati, signori! Se volete lasciare le chiavi, il nostro Staff sta sistemando le vetture nel parcheggio privato dell’Hotel!»
«Volentieri. Ecco qui, prenda pure!»
«Le chiedo solo gentilmente se può compilare il modulo per il successivo ritiro, così da agevolare le operazioni all’uscita… Signorina, tutto bene?»
«Splendidamente» risponde lei, ma il suo tono di voce è così basso che mi giro anche io a scrutarla, convinto stia per svenire. Fortunatamente, non succede.

Firmato e riconsegnato il foglio al ragazzo, ci avviamo verso l’ingresso, dove si stanno affollando tutti i partecipanti al Cenone. Scorgo tra i loro volti visi amici che mi sorridono e occhi che avrei preferito non rivedere. Sono passati mesi da quando ho lasciato il lavoro come agente di commercio, eppure molti dei presenti sembrano non aver ancora digerito il colpo. /Pazienza/, mi dico. /Prima o poi lo accetteranno: il loro mondo non poteva più essere il mio/.

Prima di entrare, interrogo ancora una volta la mia dama: «Sicura che vada tutto bene Ire? Non voglio costringerti a stare qui se non ti senti a tuo agio.»
«È solo che… Non te lo so spiegare. È come la prima volta che vai al luna park, hai presente? Tutto intorno a te brilla e tu ne sei ammaliato, eppure il fascino e l’atmosfera stessa di quell’ambiente sono così diversi da qualsiasi altra cosa hai sperimentato prima che ti spaventano. Non sai più dove finisce la realtà e dove inizia l’illusione. Mi destabilizzano, i confini indefiniti.»
«Da un lato ti capisco, l’ignoto spaventa sempre un po’. Ma Ire… quanto è bello poi, sconfinare?»

Sorride. «Immagino che lo scoprirò stasera.»
«Immagini bene, signorina! Forza, è ora di entrare!»
Le tendo la mano; quando la afferra e le sue dita, sottili e affusolate, stringono le mie, sembra quasi ci si stia aggrappando come ci si aggroviglierebbe a un albero durante una tempesta. Mi fa sentire come se fossi la sua àncora di salvataggio. Ed essere la sua àncora di salvataggio è la cosa più difficile che abbia mai fatto, ma anche la più importante: in questo, a temere di deluderla o di sfigurare, sono io.

Scaccio i pensieri stampandole un bacio sulla fronte prima di dirigermi, insieme a lei, nella hall, un elegante salone illuminato a giorno da splendide lampade in porcellana, ripieno di sfavillanti decorazioni natalizie. La attraversiamo velocemente, diretti alla Sala del Ricevimento. Una volta entrati, restiamo entrambi a bocca aperta: lo spazio che ci accoglie è raffinato e di lusso, decorato con un lustro degno dei più prestigiosi palazzi Cinquecenteschi. Ampie vetrate coperte da tende in broccato dorato circondano la pista da ballo posta al centro della sala, mentre lungo il perimetro sono disposti i tavoli apparecchiati a festa.

Sfumature di crema e oro si rincorrono ovunque, dall’albero di Natale addobbato vicino all’orchestra in fondo alla stanza ai cartellini con cui sono stati stampati i segnaposto, scritti a mano. Per non parlare degli enormi lampadari in cristallo, che con il loro scintillio riempiono la parete di incantevoli giochi di luci e ombre, donando al tutto un’atmosfera a dir poco suggestiva. Un brivido mi corre lungo la schiena: per quanto fosse risultato inaspettato l’invito a passare il Capodanno lì ricevuto qualche settimana prima da uno dei miei migliori ex clienti, ritrovarcisi è ancora più incredibile.

«È la prima volta che finisco in un posto simile…» riesco a sussurrare, senza staccare il volto dagli ornamenti che riempiono ogni angol
«Pazzesco» è tutto quello che riesce a dire Ire.
Il gruppo di musicisti accompagna l’ingresso in sala degli ospiti suonando versioni di alcuni pezzi pop contemporanei riarrangiate con le delicatissime note di un enorme pianoforte e le dolci archettate dei violinisti; mentre con gli occhi entrambi cerchiamo di imprimere nella nostra memoria tutto lo sfarzo e la meraviglia di quel luogo tanto suggestivo, un numero indefinito di camerieri volteggia tra noi presenti offrendo a tutti calici di preziose bollicine francesi.

Ne afferro due, voltandomi verso Irene per il brindisi. «A noi?»
Sorride, le guance in fiamme, gli occhi lucidi. «A… a noi!»
«Cin cin!» I flûte si incontrano mentre il maitre passa tra i tavoli invitandoci ad accomodarci: il Cenone di Capodanno prende ufficialmente inizio.

Verso le undici, a secondo terminato, la pista da ballo è ormai affollata da coppie di amici e amanti che volteggiano sulle note dell’orchestra. Le luci sono state affievolite: a illuminare il salone sono ora le candele, disposte armoniosamente sui tavoli e negli angoli del salone, e la Luna piena, brillante come un diamante al di là delle vetrate.
Le altre due coppie sedute al nostro tavolo si sono lanciate nei balli già da un po’; Ire e io, invece, siamo rimasti seduti. Tenendoci per mano, uno a fianco all’altra, ci stiamo godendo lo spettacolo.

«Tutto questo è molto di più di ciò che avrei potuto immaginare…» rompe il silenzio lei dopo un po’. Nella sua voce un tono di meraviglia che non le sentivo dalla nostra gita fuori porta sul lago di Bolsena.
«Avrei faticato a pensare a qualcosa di simile anche io, lo ammetto! Va molto oltre a qualsiasi altra festa cui abbia preso parte nella mia vita precedente…»
«È così bello che ho paura a mezzanotte svanisca, come nelle favole.»
«Non è che adesso ti trasformi in Cenerentola e fuggi via, vero?»

Ire ride. «Certo che no. E comunque, anche se scappassi, ti resterebbe la mia scarpetta!» sorride, scostando la gonna il tanto che basta a mostrarmi le sue décolleté tacco 12 indaco, abbinate al vestito.
«Chiamala scarpetta! Se la lanciassi, potrei uccidere qualcuno.»
«Pensa a indossarle!»
Sorrido. «Credi di poter reggere un ballo, con quelle cose addosso?» le chiedo, stringendole la mano un po’ più forte.
«Credo di sì!»
«Ottimo! Allora se me lo concedi, signorina, vorrei invitarti a danzare con me!» Mi inchino di fronte a lei, tendendole la mano. Sorridendo, la afferra e mi trascina verso il centro della sala, dove ora i numerosi ospiti si stanno muovendo a passo di valzer.

Mentre seguiamo con rigore le note dell’orchestra, il mondo intorno a noi sembra quasi entrare in stand by: a riempire l’universo di volteggi rimaniamo soltanto Ire e io. Lei con le sue guance arrossate dagli occhi dei curiosi puntati addosso, io col più sincero dei miei sorrisi stampato sul volto per essere qui, in questo momento, con la prima ragazza per cui nutro un sentimento che, non senza un brivido di paura, penso di poter definire Amore. Con la A maiuscola. Lo sento scorrere nel sangue ogni volta che le nostre mani si stringono, i nostri volti si sfiorano e i nostri passi si susseguono in armonie nuove eppure conosciute, perché con lei qualsiasi cosa ha il sapore prezioso della familiarità. Tra un passo e l’altro restiamo entrambi in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri. Dopo il terzo giro di danze, Ire mi chiede una tregua.

«Un po’ di champagne?» suggerisco.
«Effettivamente ci starebbero bene le bollicine ad accompagnare questi balli così spumeggianti!» ridacchia.
«Ogni suo desiderio è un ordine, mia signora! Se vuoi scusarmi… tornerò in tempo per il brindisi di mezzanotte!» esclamo, osservando il grande orologio posto alle spalle dell’orchestra indicante le undici e quaranta.
«Spero bene!» ribatte. «Se mi lasci qui da sola per più di venti minuti dovrò dedurre che la serata sia un disastro e tu stia cercando un modo per liberarti di me.»
«Cosa che non potrei mai fare perché la serata è più che perfetta e ho promesso solennemente di non lasciarti mai più sola.»
«Fila…» dice, arrossendo, mentre bonariamente mi spintona verso le tavolate imbandite con il punch e i calici di spumante per brindare alla mezzanotte ormai incombente.

Raggiungere quel lato della Sala del Ricevimento non è per niente facile. Devo scavalcare almeno un paio di uomini ubriachi, tre gruppi di ragazze particolarmente loquaci e diverse giacche lanciate a terra tra un giro di valzer e l’altro, ma dopo un paio di minuti finalmente arrivo a destinazione.
«Due, per favore» chiedo al cameriere. Mentre lui mi porge i calici, io non riesco a distogliere l’attenzione da ciò che mi circonda, ammaliato dalla bellezza non solo del luogo, ma anche e soprattutto di Ire, che dal nostro tavolo mi osserva sorridendo, facendosi aria con il menù.
«A lei, signore!» esclama il ragazzo alle mie spalle. Afferrati i flûte in un sorriso, mi preparo a far ritorno da Ire attraversando di nuovo il mare impetuoso fatto di volti e indumenti, quando un braccio mi trascina fuori dalla mischia.
«Sei davvero tu, allora.»
Serena.

«S… Serena. Che cosa ci fai qui?»
«Che cosa ci fai tu, qui. Con… quella!» sbraita lei, indicando verso Irene che fortunatamente ora sembra fin troppo assorta nei suoi pensieri per notare noi.
«”Quella” è Irene, è la mia fidanzata, e dovresti portarle rispetto. Quanto al cosa ci faccio qui, non credo di doverti spiegazioni. Non stiamo più insieme, se ben ricordo.»

Mi incenerisce con lo sguardo. «Non credi di dovermi spiegazioni? Sei sparito per MESI, mai una chiamata, neanche uno stupido messaggio, e ti ritrovo dove? Al cenone di Capodanno, con un’altra, tua… F… Fidanzata. Cristo, da quanto andava avanti? Per quanti anni mi hai tradita?» Nella sua voce la rabbia graffia quanto uno schiaffo.
«Neanche un giorno» rispondo. «Non è per lei che ti ho lasciata, è per come mi sentivo stando con te.»
«E guarda caso te ne sei reso conto il giorno del matrimonio? Non ti è mai venuto in mente prima di quel momento? Tutto questo è davvero ridicolo. Non credi di avermi ferita abbastanza? Non credi di dovermi delle scuse, di dover mettere a posto il casino che hai fatto?» Ogni parola mi trafigge lo stomaco come una spada affilata.

«Non credo che scusarmi possa sistemare qualcosa» le dico, sincero. «So di aver sbagliato a sparire e a non farmi più vivo. Mi sono sentito un mostro. Ho anche provato a farla finita, quel giorno. Non ci sono riuscito.»
«Provato a… Dio santo, Alessandro. Nessuno sapeva niente di te, nemmeno i tuoi! Ho pensato ti fosse successo di tutto. Ho passato mesi infernali aspettandoti davanti casa, cercandoti in ufficio. Nessuno aveva idea di dove fossi. E poi? Quando inizio a mettermela via, ecco che ricompari, con… quella… e come se niente fosse butti lì due pseudo-giustificazioni e speri che sia tutto okay?»

«No, so benissimo che non sarà mai più tutto okay tra di noi, Serena. Non voglio nemmeno che lo sia, a dire il vero. Non penso neanche che tu voglia stare a sentire ciò che ho da dire, e credo che tu abbia ragione ad essere furiosa nei miei confronti. Sono stato un mostro, con te. Con i tuoi. Con tutti quelli che mi volevano bene. Era un altro Alessandro quello che hai conosciuto tu. Ora… ora di lui fortunatamente non resta più niente. Non ti amavo, non potevo costringerti a vivere una vita al mio fianco senza poterti dare ciò di cui avevi bisogno. Il modo è stato orrendo, lo riconosco, l’intento però era buono. Volevo soltanto ti dimenticassi di me. Andassi avanti. Riuscissi a renderti conto anche tu dell’errore che sarebbe stato pronunciare quelle parole.»

«Lo vedo benissimo» mi interrompe. «Non so sinceramente come abbia fatto a continuare a difenderti per tutti questi giorni. Soprattutto con mio padre, che se per caso t’incontrasse probabilmente ti ucciderebbe a mani nude.»
«Lo capisco, ma…»

«Stai. Zitto. Ti prego. Stai zitto. Smettila e basta. Per tutto questo tempo ho immaginato come sarebbe stato rivederti. Cosa avrei provato. Cosa ti avrei detto. Credevo avrei avuto bisogno di spiegazioni, ma su una cosa hai ragione: non voglio più starti a sentire. Tu mi hai distrutta. Mi hai uccisa. Annientata. Hai fatto a pezzi ogni parte di me e non contento ti sei anche presentato qui come se niente fosse con quella ragazza, sorridendo, danzando, vivendo… mentre io qui mi sento ancora morire. Credo… credo che tu debba andartene via. Non farti più vedere, né qui né da nessun’altra parte dove eravamo soliti andare insieme. Hai deciso di scomparire? Beh, fallo. Sparisci. Fallo per sempre. Sarebbe l’unica cosa buona mai portata a termine dal grande Alessandro Ferrari.»
«Serena…»

«No davvero. Ne ho avuto abbastanza. Sparisci, prima che chiami il maitre e ti cacci da qui a calci in culo. ORA!» sbraita; nei suoi occhi una collera accecante. Appoggio i calici ancora ricolmi sul primo tavolo in cui mi imbatto e tiro dritto verso Ire.
«Dobbiamo andare» le dico, prendendole il braccio.
«Hai una faccia, che è successo? Hai visto un fantasma?» chiede, perplessa.
«Ti spiego dopo, ora andiamo. Mi manca l’aria.»

Non facendomi altre domande, Ire afferra la borsa e mi segue verso l’uscita. Nella hall recuperiamo frettolosamente i cappotti e dal facchino l’auto. Saliti a bordo, inizio a guidare più lontano possibile da quel posto, mentre la mezzanotte scocca sul display dell’autoradio e il nuovo anno ha inizio, salutato dai fuochi d’artificio che illuminano il cielo. Ire mi osserva, silenziosa. Aspetta che sia io a spiegarle l’accaduto, e gliene sono grato, perché ho bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare quanto appena successo con Serena. Strano modo che ha il passato di ripresentarsi nel presente.
Dopo il terzo giro a vuoto lungo le vie di Roma fermo l’auto vicino al Parco di Villa Ada, spengo il motore e poggio la testa sul volante, scoppiando a piangere.

«Così però mi fai preoccupare Ale» dice Ire, accarezzandomi i capelli.
Incapace di spiegarle, stretto nella morsa silenziosa dei ricordi e dei singhiozzi, mi lascio cullare dalle sue dolci mani finché le lacrime non lasciano spazio al silenzio e ritrovo un briciolo di compostezza.
«Ho rivisto Serena» riesco a mormorare, poco dopo.
«Serena è?» mi chiede Ire. Una sincera nota di curiosità le flette la voce.
«Il mio passato. Quello che pensavo di aver sepolto per sempre quando mi hai trovato la prima sera in quel bar…» le ricordo.

«Oh» sussurra. «Il motivo per cui piangevi che non hai mai voluto svelarmi… Ti ha spezzato il cuore?»
«L’ho rotto io a lei.» E così inizio a raccontare a Irene tutta la storia, dal principio. Da quella notte disperata durante la quale ci siamo conosciuti fino a quanto successo poco fa, nella Sala del Ricevimento dell’Hotel più bello di Roma, dove ero andato per festeggiare insieme a lei un nuovo inizio e invece mi sono ritrovato a fuggire un’altra volta da una vecchia fine.

«Posso spezzare una lancia a suo favore?» chiede Ire, dopo un po’.
«Sto già abbastanza di merda, ma se vuoi infierire… fai pure.»
«Non voglio infierire Ale, voglio farti capire che purtroppo per tanti versi ha avuto ragione a dirti quel che ti ha detto. Non puoi fargliene una colpa, era innamorata di te e te ne sei andato senza nessun preavviso, nessun messaggio… Sarebbe impazzito chiunque.»
«Stavo impazzendo anche io.»

«Lo so, me lo ricordo.» Ire afferra dalla borsa un fazzoletto e me lo porge. «Non potrei mai colpevolizzarti per aver trovato nella fuga l’unica via di uscita da una situazione per te insostenibile. Avresti però potuto chiamarla, una volta rientrato. Chiudere davvero, pagare il conto. Anche per te stesso, per metterci davvero una pietra sopra, a questo passato.»
«Non l’ho fatto con cattiveria Ire, non ci ho proprio pensato. Sapevo a cosa andavo incontro andandomene, sapevo cosa rischiavo a ritornare, ma Serena era stata qualcosa di così… tossico… per me che nemmeno per un momento ho pensato di doverle qualcosa. Fosse anche solo una spiegazione del perché l’avevo piantata in asso così. Non pensavo se lo meritasse.»

Ire sospira. «Lo capisco, Ale. Allo stesso tempo, però, capisco anche lei, che forse di quella pietra sopra avrebbe avuto bisogno tanto quanto te.»
Lascio che le parole di Irene si sedimentino, mentre orde di persone di ritorno dal Circo Massimo iniziano ad affollare la via. Gli ultimi fuochi illuminano il cielo del primo giorno del nuovo anno.

«Andiamo a casa, ti va? Domani mattina ci ragioniamo a mente lucida e troviamo una soluzione. Penso che tu quel perché glielo debba comunque, anche se non vuole più starti a sentire, e il miglior modo per farlo potrebbe essere scriverglielo. Metterlo nero su bianco, spedirglielo, e sperare che ti liberi. Perché se è vero che lo devi a lei, il punto su questa storia lo devi anche a te stesso. Lo devi scrivere anche per me, se davvero mi ami come dici di amarmi.»
Alzo gli occhi dai sampietrini fuori dal finestrino su cui sono puntati e osservo la ragazza che ho di fronte. Nelle sue iridi, rischiarate dalla Luna, brilla tutto l’affetto appena pronunciato a parole.

«Perché lo stai facendo? Perché vuoi aiutarmi? Non è compito tuo risolvere il macello che ho combinato.»
«Perché ti amo, no? Stupido!»
Le parole mi si fermano all’altezza della gola. Mi giro verso Ire, che si è voltata frettolosamente verso il finestrino per evitare la possa guardare negli occhi. «T-tu?»
«Non lo ripeterò!»
«L’hai detto davvero.»
«E non lo ripeterò.»
«Tu mi ami!»
«Non te lo dirò ancora!»
«Mi ami!»
«Sono parole tue…»
«TU MI AMI!» urlo di gioia. «LEI MI AMA!» grido ai passanti, anche se da dentro l’abitacolo non credo possano sentirmi.
«Shh! Ci crederanno ubriachi!» dice lei, finalmente rivolta verso di me. Sul suo volto un sorriso che fatica a trattenere.
«MA TU MI AMI, IO DEVO DIRLO A TUTTI!» continuo ad urlare.

«Alessandro!» mi riprende.
«Irene! Tu. Mi. Ami!» ribatto.
«Potrei aver detto una cosa del genere ma…»
«Oh no, niente ma, tu l’hai detto! L’hai detto!»
«Se non la smetti di starnazzare come un’anatra giuro su Dio che quelle tre parole in fila, dalla mia bocca, non usciranno mai più.»
«Okay, okay, la smetto. Ma tu mi ami.»
«Io ti…» sospira. «Voglio tornare a casa perché qui fa freddo e moriremo con una bronchite se non metti subito in moto quest’auto!» Ride. «E ti amo.»

In un impeto di gioia irrefrenabile scendo dall’auto, corro verso la sua portiera, la apro, la faccio scendere e la stringo come non ho mai abbracciato qualcuno prima in tutta la mia intera esistenza, avvicinando lentamente le mie labbra alle sue.
Quando la bacio richiudo in quel gesto tutto l’amore che provo nei suoi confronti. È un bacio dolce, delicato, vorace, appassionato. E lei, quel bacio, lo ricambia.

«Buon anno nuovo, Ire!» sussurro, senza allontanarmi troppo dalla sua bocca.
«Buon anno nuovo, Ale.»
«Non ti ho… oh, aspetta qui un secondo!» le dico, allontanandomi verso l’ingresso del parco, dove un venditore ambulante siede su una panchina con un mazzo di rose rosse in mano, riposandosi un po’ prima di ricominciare a vagare tra i vicoli della Città Eterna.
«Le prendo tutte!» gli dico, lasciandogli una banconota tra le mani.
Mi guarda sorridente, porgendomi i fiori. «Tutte sue, signore! Le auguro ogni bene! Buon anno!» esclama, felice.
«Buon anno anche a te!» ricambio, tornando dalla mia Ire con il mazzo di rose tra le mani.

«Ma sei proprio sicuro di non aver battuto la testa, prima? Sai, nel trambusto…»
«Sicurissimo! Sono solo follemente…»
«Folle, vorrai dire!»
«Follemente innamorato di te.»
Ire sorride, le braccia strette al mio collo, gli occhi fissi nei miei. «È una cosa contagiosa?» mi chiede.
«Spero proprio di sì!» le rispondo.

Ire scuote la testa, un sorriso le dipinge il volto. «Ale, ora però davvero… torniamo a casa? Con questi tacchi penso avrò bisogno di un paio di stampelle per salire le scale fino all’appartamento.»
«Ogni tuo desiderio è un ordine!» La prendo in braccio, adagiandola sul sedile, non prima di averle rubato un altro paio di baci.
«Sei completamente pazzo.»
«Forse…» ammetto.
«Forse anche senza forse» ribatte.
E ogni pezzo del puzzle incasinato che è la mia vita ritorna al suo posto.

Disclaimer & Copyright

Il contenuto pubblicato nel racconto qui sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore (Legge n. 633/1941): la riproduzione dello scritto, anche parziale, senza autorizzazione è vietata. La storia è un’opera di fantasia: personaggi e situazioni sono frutto d’immaginazione e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Analogie con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, sono puramente casuali.

Riferimenti

Una puntualizzazione per chi si imbatte per la prima volta in qualcosa di scritto da me. Alessandro e Irene sono nati per un’altra sfida a colpi di scrittura; da quando ho iniziato a raccontare di loro, non riesco più a smettere. Per quanto ogni capitolo della loro avventura sia scritto in modo da poter essere letto anche singolarmente, qualora voleste leggere anche le puntate precedenti, le trovate qui:
– 1: Di mostri e fantasmi
– 2: Di un amore perduto e ritrovato
– 3: Di indimenticabili prime volte
Il mio ringraziamento a Lady C de La Nicchia Letteraria, senza la quale non avrei mai partorito questi due personaggi, e a Liv che mi ha ospitata fino ad oggi su AlteregoUniversus con i miei sproloqui, colpevole dell’avermi rimessa in gioco con questa passione che avevo ormai seppellito. Devo a loro il mio ritorno alla scrittura dopo anni di silenzi. <3

Altri racconti saranno invece pubblicati presto su queste pagine, continuate a seguirci 🙂

6 commenti

  1. Ester

    Ciao Stephi! Che dire, mi è piaciuto tantissimo. La magia che sei riuscita a ricreare e il modo in cui hai raccontato i sentimenti dei personaggi mi hanno fatta sentire completamente partecipe. Alessandro e Irene mi hanno donato tantissima tenerezza e quando sono arrivata al punto finale mi sono ritrovata a sorridere emozionatissima con gli occhi a cuoricino. Personalmente, non mi sono assolutamente accorta della “lunghezza”, il tempo è scorso bellissimo leggendo le tue parole. Sicuramente andrò a leggermi le altre storie collegate, sono proprio curiosa di conoscere di più! Grazie davvero per questo bellissimo regalo di positività che, devo dire, ci voleva proprio! Tanti complimenti 🙂 Ester

    1. Stephi

      Ciao Ester 🙂 Grazie mille per il tuo bellissimo commento! Sono super contenta di essere riuscita a coinvolgerti nel racconto <3 Ale e Ire sono ormai una parte di me a cui spero presto di rendere giustizia con una long tutta loro :)

  2. Liv

    Ciao. Ho iniziato a leggere il racconto e mi sono detta: ma io sono come finisce. Perché so come finisce? Si vede che perdo colpi e sono stanca, lo avevo già letto 😀 E niente, è stato bello rileggerlo. Questi due personaggi sono sempre carini assieme e mi sono affezionata, mi fa piacere rivederli sempre.
    Hai usato la consegna in modo perfetto secondo me, tutti i dettagli erano al loro posto e hai scritto un racconto che scorre velocemente e si fa leggere tutto d’un fiato.
    Mi è piaciuto molto e ovviamente come sempre, chiedo altri dettagli in più sui personaggi, insomma, la vuoi scrivere la loro storia o no? 😀
    A presto

    1. Stephi

      Ciao Liv! AHAHHAHAAH mi fa piacere che pur avendolo letto due volte non ti abbia annoiato 😀 E che ci siano tutti i dettagli, a una certa temevo di poterne perdere qualcuno per strada. La loro storia è sicuramente una tra quelle che dovrei decisamente mettere nero su bianco completa. Prima o poi 🙂

  3. Joey Tre

    Ciao Stephi, sono corsa a leggere questo racconto e nonostante il tuo disclaimer sul fatto che fosse molto lungo, posso dirti che ho avuto la sensazione che scorresse velocissimo nella mia mente mentre lo leggevo. Ho amato lo stile e la storia che hai raccontato, soprattutto i dialoghi! Mi piace quel tocco di ironia che ritrovo un po’ in tutte le parti del racconto, soprattutto nel confronto fra Ire e Alessandro. Questo li ha resi a mio parere molto realistici. Mi piace il modo in cui hai introdotto un evento passato (il passato di Alessandro) attraverso il personaggio di Serena. Non ho trovato nessun errore e non ho nessun consiglio se non quello di continuare a scrivere questa storia. Ho visto che non è il primo racconto su questi personaggi quindi direi che sei sulla buona strada 😊 a presto,
    Joey

    1. Stephi

      Ciao Joey! Che dire, sono felicissima di leggere che i personaggi ti siano sembrati realistici, davvero: è uno dei complimenti più belli che si possano ricevere! 🙂 E mi fa enorme piacere sapere di non averti annoiato con questo scritto: ho sempre un po’ il timore di poter scocciare quando scrivo capitoli così lunghi (ma giuro che non saranno sempre di 7 pagine di word!) 🙂 Grazie del tempo che hai dedicato alla lettura e delle belle parole che mi hai lasciato come commento! Ci rileggiamo presto 😉 Stephi

Lascia un commento

error: Content is protected !!